La più grande sfida del marketing sportivo: costruire un brand fuori dal campo.
Siamo sinceri: i professionisti del marketing sportivo hanno il privilegio di vivere un vero e proprio sogno ad occhi aperti. Sono seduti su poltrone fatte di diamanti. Anche le più scomode.
Anche le più difficili. E molti di loro nemmeno lo sanno.
Questo perché il calcio è uno dei pochi sport che vive profondamente nel cuore degli italiani.
Lo sentono dentro. E molti di loro sono anche disposti a dimostrarlo imprimendo il loro amore direttamente sulla propria pelle.
Purtroppo, questo atteggiamento estremamente positivo da parte del pubblico è stata negli anni l’occasione (o la scusa) per una certa pigrizia da parte di chi avrebbe dovuto occuparsi di creare valore intorno alla squadra.
“Molte squadre di calcio infatti, anche le più blasonate,
non hanno dei veri e propri valori nei quali identificarsi e differenziarsi.”
Il valore dei valori nel marketing e nello sport marketing.
“Vincere non è un valore, tutte le squadre desiderano farlo.”
Lottare nemmeno, ci si aspetta che tutti i giocatori vogliano fare l’impossibile per arrivare davanti alla porta avversaria e segnare. Anche all’ultimo secondo. E l’onore? Beh, sfido chiunque ad ammettere di non averne.
Questi sono valori universali, chiunque dovrebbe averli, quindi non sono differenzianti.
Ciò che intendo io come valore, quello che identifica e imprime un marchio nella mente delle persone è ben altro. Come Harley-Davidson, che nonostante gli alti e bassi, i fallimenti e i successi, è diventata sinonimo della assoluta libertà. Come Apple, che da sempre si è prefissata di esaltare le potenzialità del “singolo” rispetto alle grandi, statiche e goffe aziende che popolano il mercato. Così è nato il suo “Think different”. Ed è per questo che molti clienti decidono di tatuarsi il loro marchio (e di molte altre realtà), nonostante siano delle semplici aziende.
Non vedi in giro tatuaggi di Microsoft, vero? O di Samsung. O di Fiat. Questo perché non trasmettono valori. Non trasmettono emozioni. Trasmettono metriche. Fatturato, azionisti, dipendenti, brevetti. Arrivano alla mente sì, non al cuore.
“Apple o Harley-Davidson sono dei Tedofori, sono i baluardi dei Valori ai quali si ispirano.”
Calcio, tifo e appartenenza.
Eppure, nonostante tutto, molte persone trovano del tutto naturale tatuarsi la squadra del proprio cuore. Anzi è quasi ovvio farlo. O per meglio dire, lo era.
Le cose infatti, soprattutto in Italia, stanno cambiando e molto velocemente. Una campagna acquisti condita da top player non è più sufficiente se le squadre sono prive di valori. Vincere non è più sufficiente. I tifosi vogliono di più. E, guarda caso, sempre più stadi si stanno svuotando. Anche i più piccoli.
Le ragioni dell’imminente crisi del calcio italiano.
“Le squadre si stanno letteralmente alienando dai propri tifosi.”
Le squadre di calcio vivono esclusivamente all’interno dello stadio della propria città una volta ogni due settimane. Non ci sono eventi, non ci sono allenamenti a porte aperte, non ci sono conferenze stampa allargate al pubblico, c’è solo la partita.
Stessa cosa per i giocatori. Rintanati all’interno delle loro ville, fuori città, al sicuro dai propri tifosi. Non c’è più un vero e proprio contatto.
E quando questo manca i tifosi, che comunque non possono fare a meno di amare la squadra, non si sentono più (virtualmente) i legittimi proprietari. Si sentono solamente degli “spettatori da mungere” con abbonamenti e biglietti sempre più costosi.
È abbastanza logico, se ci pensi. Quando smetti di ricevere amore da parte del tuo partner, che continua a pretendere fedeltà, presenza e soldi, cosa fai? Probabilmente ti allontani e preferisci stare sul divano in compagnia dei tuoi amici, magari davanti a birra e patatine. Analogamente, il tifoso non va più allo stadio.
“Coinvolgere i propri tifosi, i veri proprietari della squadra.”
Questa è la grande sfida del marketing sportivo. Far vivere la passione per la propria squadra al di fuori del campo di gioco. 365 giorni l’anno, non 20.
Creare un senso di appartenenza che vada oltre la rosa dei giocatori, al di là dei risultati è la missione di chi fa il mio mestiere. Così come allineare gli sponsor ai valori della Società, anche se questo significa perdere migliaia di euro. Talvolta milioni.
Si tratta di creare un ecosistema che vive in armonia con la città, i tifosi e gli sponsor, facendo la cosa giusta (invece di quella “comoda” per massimizzare i profitti). Si tratta di trovare la giusta strategia per riempire gli stadi senza aumentare ingiustificatamente il costo degli abbonamenti e dei biglietti. Si tratta di diventare il punto di riferimento per gli sponsor (senza chiedere la carità) diventando un partner a tutti gli effetti. Si tratta di trasformare una “semplice” squadra in un marchio che tutti i tifosi non vedano l’ora di tatuarsi sulla propria pelle.
È certamente ambizioso. E, al tempo stesso, con le giuste strategie e molto coraggio è possibile.
[…] Il marchio oltre la squadra e la rosa dei giocatori […]