La storia anonima e mediocre di uno fra i 146 fallimenti del calcio italiano.
Credo sia arrivato il momento di togliersi qualche sassolino dalle scarpette da calcio ed iniziare a parlare a ruota libera. È ora di aprire gli occhi e di guardare in faccia la realtà.
Se sei un tifoso, o se anche tu graviti intorno al mondo del calcio avrai potuto constatare con i tuoi stessi occhi l’inevitabile desertificazione degli stadi…e la cosa orribile è che a molti va bene così. Come ho appurato in prima persona nella mia esperienza di direttore marketing sportivo nel calcio, esiste in questo mondo una serie di dirigenze tecniche totalmente incompetenti, antisportive e dedite al mero profitto che hanno deciso di sacrificare sull’altare dei milioni di euro (provenienti soprattutto dai diritti tv) la gioia e la condivisione familiare che solo uno stadio gremito di tifosi può creare.
“Come al solito è una questione di soldi e di poltrone.”
Un dipinto della situazione attuale, due facce della medaglia della retrocessione
Immagina una squadra di calcio neopromossa in Serie A, che con forza e determinazione ha regalato una gioia incontenibile ai propri tifosi, che dopo anni di Serie B non vedevano l’ora di portare i propri figli allo stadio per gustarsi un match contro le big.
Immagina di essere anche tu lì, con la tua famiglia e, anche se sfavoriti in partenza, di vedere la tua squadra del cuore vincere contro colossi come la Juventus, o l’Inter.
Sarebbe il massimo, un ricordo da custodire per sempre.
Questo è il bello del calcio: l’imprevedibilità dei 90 minuti.
Ora immagina invece la stessa società, guidata da un presidente affamato di soldi (provenienti dai diritti televisivi), che non vede l’ora di massimizzare i guadagni di un’annata di vacche grasse investendo il minimo necessario per pagare gli stipendi dei calciatori, il personale e l’attrezzatura.
Una dirigenza che non vede l’ora di retrocedere a fine anno, vendendo i due o tre giocatori della rosa che hanno brillato durante l’anno per fare jackpot.
Da un lato il romanzo calcistico, l’amore per la squadra del cuore, la soddisfazione e l’orgoglio per essere arrivati nella massima serie. Dall’altra parteci sono i soldi. Ma quanti?
Andiamo nello specifico:
Secondo Calcio&Finanza l’immagine che puoi osservare è una stima approssimativa degli incassi provenienti dai diritti televisivi nell’anno 2018/2019. Tralasciando le varie diciture in alto, e concentrandosi solamente sul totale, possiamo notare che l’importo medio destinato ad una squadra di bassa classifica/neo promossa è di circa 40 milioni di €.
E dove vanno a finire i soldi? Stipendi e manutenzione dell’impianto? Circa 20 milioni ad essere generosi. Se a questo aggiungiamo la vendita di due giocatori, immaginiamo altri 20 milioni, e qualche sponsor raccattato in giro, ci troviamo con quasi 40 milioni di € di plusvalenza.
E che fine fanno questi soldi? Sicuramente non sono usati per premiare i giocatori più meritevoli o per rinnovare lo stadio per accogliere meglio i tifosi.
Credo, ne sono certo, che finiscano in stipendi d’oro, ville, auto di lusso e conti in banca a sei zeri della dirigenza.
“Non importa dei tifosi, non importa dei calciatori.
Basta mungere fino all’ultima goccia la vacca dall’annata buona.”
Solo in Italia, negli ultimi 15 anni, 146 squadre hanno dichiarato fallimento o non hanno potuto effettuare l’iscrizione al campionato. Questo è il grande business del calcio italiano moderno.
Uomini d’affari che non credono più nello sport, ma che hanno visto l’opportunità di un 6 al superenalotto, che non si preoccupano dei tifosi, che trascurano i propri sponsor e che investono il minimo indispensabile per mantenere a galla la zattera fino alla retrocessione. Basta mettere il figlio di Tizio come direttore marketing della società e il cugino di Caio come dirigente sportivo. Zero professionalità, nessuna preparazione, nessun progetto.
E i risultati si vedono.
“Stadi vuoti e divani pieni di briciole di patatine.”
I diritti tv all’estero? L’ultima ruota del carro siamo sempre noi.
Anche se da una parte considero i diritti tv come una grande macchia nera nel mondo del calcio so che sarebbe scorretto da parte mia condannare le PayTv. Dopotutto, un coltello può essere usato in cucina per preparare un piatto da Stella Michelin o per scopi meno nobili.
“Il problema nel calcio italiano è la mentalità.”
Ciò che trovo esilarante da un lato e triste dall’altro è il divario incredibile tra i diritti televisivi per il calcio italiano e quelli delle altre competizioni nazionali maggiori. Tra le 5 serie maggiori (Serie A, Ligue 1, La Liga, la Bundesliga e la Premier League) noi siamo all’ultimo posto.
Ecco la ripartizione aggiornata dei diritti tv nei campionati maggiori:
Premier League | 1.93 miliardi di euro |
Bundesliga | 1.16 miliardi di euro |
Ligue 1 | 1.15 miliardi di euro |
Liga | 1.14 miliardi di euro |
Serie A | 973 milioni di euro |
Da questi numeri possiamo estrapolare 3 considerazioni importanti:
- La prima è che da una mentalità povera arrivano guadagni miseri. facciamo il bello e il cattivo tempo per “quattro” soldi.
- Il problema è il mondo del calcio italiano in generale, i diritti tv sono solo un esempio. Invaso dalla mediocrità, dalla superficialità e aggrappato disperatamente alla credenza (ormai defunta) che la Serie A sia ancora il campionato più bello del mondo.
- La Premier League si è meritata quei soldi. Al di là della ovvia considerazione (la lingua inglese è decisamente più internazionale dell’italiano) la distribuzione dei diritti televisivi è prettamente uniforme e basata sul numero di passaggi televisivi. Basti pensare che l’ultima in classifica (retrocessa quindi) ha guadagnato nell’anno 2018/2019 ben 96 milioni di sterline. Più degli 85 milioni di € della Juventus.
L’eccezionale risultato ottenuto dalla Premier è il frutto di un metodo di lavoro, che da sempre ha messo il tifoso al primo posto e che riempie sempre gli stadi e svuota i magazzini del merchandising. Ed è esattamente ciò che io ho decodificato nella in Sport Marketing Formula. Proprio quello che ha attuato magistralmente il Bayer Monaco negli ultimi 10 anni, terminando la campagna abbonamenti 2019/2020 con più di 38.000 iscritti a luglio 2019.