Fase 2, interessi e la regola del marketing sportivo: mettere il tifoso al centro.
La dura presa di posizione delle tifoserie organizzate, unanimemente schierate contro l’ipotesi di una ripresa del campionato di serie A, è l’emblema di un rapporto con le società calcistiche che negli ultimi anni si è andato inesorabilmente deteriorando. ‘Voi presidenti siete asserviti alle televisioni, siete schiavi del loro denaro, voi non decidete ma siete dei pupazzi nelle loro mani…. In questo estratto del comunicato ufficiale degli ultras della curva Nord del Genoa si tocca un tema fondamentale: il rapporto tra calcio e televisioni. Ripercorrere i passaggi fondamentali di questa simbiosi è importantissimo per comprendere al meglio l’attualità, perché i germi della disaffezione degli appassionati più caldi sono da ricercarsi proprio nel progressivo ribaltamento di forze tra lo sport più popolare del nostro paese ed il media per eccellenza, la tv.
I diritti tv e il canto delle sirene per il calcio italiano.
L’innocente origine della rovina.
Risalgono ai primi anni ‘50 le iniziali attenzioni della televisione per il calcio, era un rapporto di palese sudditanza dove nel piccolo schermo ci si limitava alla trasmissione passiva delle immagini arricchita da un racconto in stile radiofonico. Nel 1953 con le immagini di Inter-Fiorentina va in onda la prima puntata de La ‘Domenica sportiva’, il rotocalco più longevo della televisione italiana. Sono quelli gli anni in cui si avvia un processo che porterà la televisione a scalzare la radio dal ruolo di medium egemone nello sport. Grazie alla diffusione di grandi eventi calcistici (Mondiali di calcio del ‘54 e‘58), si impenna il numero degli abbonati alla tv italiana che in soli due anni, dal 1954 al 56, sale da 90.000 ad 1.100.000. Prendono quota i diritti tv: per i mondiali in Svizzera del 1954 le cifre sono già altissimi: 3 milioni di franchi svizzeri (circa 400 milioni di lire del tempo) destinati alle sedici squadre finaliste, mentre un milione resta nelle casse dell’ente organizzatore. Nel 1959 prende il via ‘Tutto il calcio minuto per minuto’, una trasmissione radiofonica che scriverà pagine importanti della storia del costume italiano. Il format, condotto da Roberto Bortoluzzi, era dedicato alle radiocronache in diretta delle partite del campionato di serie A e conobbe ascolti impensabili con punte di 25 milioni! È importante però sottolineare che i radiocronisti inviati Enrico Ameri, Sandro Ciotti, Ezio Luzzi e Roberto Provenzali si collegavano dai campi di gioco in coincidenza con l’avvio dei secondi tempi delle partite per non rischiare in alcun modo di compromettere l’affluenza degli sportivi allo stadio. Il calcio conosce una popolarità inarrestabile, monopolizza milioni di appassionati e ne condiziona la quotidianità.
Nel Settembre 1970 esordisce ‘90° minuto’. Questa striscia è la prima a trasmettere le immagini salienti delle partite del campionato di calcio e conosce un successo pressoché immediato. Un appuntamento fisso della Domenica pomeriggio per milioni di sportivi che, dopo aver seguito le radiocronache alla radio, affollavano i bar dotati di tv per seguire i primi filmati dei match. Gli altissimi ascolti resero il programma un vero e proprio fenomeno di costume e consegnarono alla notorietà sia i conduttori Paolo Valenti e Maurizio Barendson che gli inviati in collegamento dai vari campi.
È solamente a partire dagli anni Settanta che si assiste a un progressivo ribaltamento del rapporto di forza tra calcio e tv. Il boom di ascolti rende la televisione consapevole del proprio ruolo sempre meno subordinato all’evento sportivo, ed innesca un processo di cannibalizzazione che spinge i giornalisti ad abbandonare la fedele narrazione degli avvenimenti e a rielaborarli e personalizzarli con gli schemi, i ritmi, il linguaggio e le regole della televisione. L’avvento delle TV commerciali (1976), segna uno spartiacque fondamentale.
Lo sport diventa aperto terreno di contesa tra le imprese televisive; si dilata l’interesse per i tornei stranieri grazie alle emittenti di Berlusconi e vengono messe nel palinsesto coperture totali di tornei internazionali come i Mondiali di calcio, soprattutto, si gettano le basi per la guerra per l’aggiudicazione dei diritti tv, questione destinata nell’arco di poco più di un ventennio a stravolgere completamente i rapporti di forza in campo.
Nei mondiali del 1990 disputati in Italia si registra il record assoluto di telespettatori in occasione della semifinale con l’Argentina: 27.537 milioni di media. E la rete di Caniggia che ci estromette dalla finale assume le caratteristiche di tragedia nazionale.
Telepiù rappresenta la prima esperienza di canale a pagamento che conosce il successo dalla stagione 1993-94 grazie all’inserimento nell’abbonamento del campionato di calcio. Si crea in questa occasione un drammatico precedente: la modifica dell’orario di programmazione delle partite. Nello sport è in atto un grande mutamento culturale e sociale. Come conseguenza di una crescente esposizione mediatica, mutano i rapporti di potere tra le due dimensioni. Il carattere spettacolare si avvia a prevalere su quello agonistico, aspetto che innesca una vera e propria invasione di campo da parte dei mass media decisi a piegare alle proprie esigenze regolamenti, calendario ed orari.
Con la nascita delle TV a pagamento e il consolidamento delle esperienze di Sky Italia (dal 2003) e di Mediaset Premium, la copertura televisiva dello sport si avvia a completare la rivoluzione in atto, avviando quella inversione di un trend virtuoso che dagli anni 30 in poi aveva portato la pressoché totalità di strutture sportive a garantirsi indici di riempimento straordinari. Il calcio era ancora uno sport da seguire dalle tribune e gli incassi al botteghino erano un fattore determinante nei bilanci societari, ma queste caratteristiche avevano ormai i giorni contati.
Verso l’attuale declino.
Lo sport diviene a tutti gli effetti un contenuto premium, una straordinaria leva che, da un lato guida e orienta le scelte degli utenti nella sottoscrizione degli abbonamenti alle pay TV, e dall’altro uno strumento promozionale a disposizione delle piattaforme nelle strategie di relazione con investitori, sponsor e partners.
Illuminate Aldo Grasso: ‘Gli sport esistono solo se i media parlano di loro, i media sopravvivono con tonicità solo se parlano, sovente, di sport…’. Un dato su tutti la dice lunga su questo matrimonio indissolubile: nelle prime 47 posizioni della classifica dei programmi più visti di sempre figurano esclusivamente partite di calcio, di cui 44 della Nazionale italiana. Il must è rappresentato dalla ossessiva ricerca della spettacolarizzazione del calcio i cui momenti devono essere comprimibili e riadattabili alle esigenze televisive. È questo l’ultimo tratto di un lunghissimo cammino che porta le logiche e le necessità dei broadcaster televisivi a prevalere sul mondo del calcio, ora obbligato a stravolgere calendari ed orari delle proprie competizioni, sia nazionali che internazionali. In un processo ormai più che ventennale, il calcio è passato da appuntamento domenicale radicato nei rituali di una intera nazione a prodotto commerciale spalmato in giorni e fasce orarie spesso improbabili (Lunedi sera alle 21,00 per esempio); uno sport sceneggiato in funzione delle telecamere e impoverito dei suoi contenuti originari.
La contropartita per questa nuova sudditanza è un’autentica pioggia di denaro sui club della serie A in arrivo dai diritti Tv, che ha finito per renderli schiavi arrendevoli e li ha convinti a sacrificare per prima cosa il contesto, un addio quasi irreversibile a quella cornice di pubblico che entusiasta ha assiepato gli spalti degli stadi italiani per quasi un secolo. Un sistema sempre più corrotto e drogato che ha prima ceduto il passo alla Premier League, poi si è dovuta inchinare alla Liga spagnola e alla Bundesliga tedesca. Le stesse piattaforme che investono miliardi per i diritti dei principali campionati europei, riservano all’Italia solo poche briciole. Un paradosso per un campionato che deve il 65% dei propri ricavi proprio alla vendita dei diritti televisivi: in nessun altro paese europeo la dipendenza economica è così sbilanciata. L’ansia da diritti tv ha portato a svuotare gli stadi e riempire i divani di casa, gli stadi deserti hanno reso meno interessante il prodotto tv specie nei mercati emergenti, gli investimenti hanno quindi penalizzato il nostro campionato a vantaggio di altri ed il conseguente impoverimento dei club italiani li ha resi meno competitivi: il più classico dei serpenti che si morde la coda, un circuito perverso dal quale pare arduo oggi uscire.
Ma nonostante tutto in casa nostra pare che l’interesse continui a essere quello di tutelare le televisioni. La soluzione? Progettare strutture meno capienti, vedi lo Juventus stadium, con modalità di accesso sempre più complicate! L’adozione di misure di sicurezza eccessive e spesso cervellotiche è un ulteriore aspetto in grado di scoraggiare chi vuol andare a vedere la partita dal vivo divenuta un vero e proprio percorso ad ostacoli (leggasi la tessera del tifoso, le trasferte vietate sempre più frequentemente, i biglietti venduti in base alla residenza).
Dalle tv arrivano soldi senza sforzi, fare una politica per il tifoso necessita di progettualità, idee, coraggio, compromessi, investimenti e tempo. Meglio i soldi subito, anticipati possibilmente dalle banche e poco male se si perde l’abitudine a frequentare lo stadio. Lo spettatore televisivo schiaccia dunque quello da stadio nei numeri. Tutte queste misure hanno favorito l’ultimo passaggio dell’evoluzione di questo sport: la trasformazione del calcio da sport da stadio a sport da poltrona. E questo emerge chiaramente dall’esame dei bilanci societari, il ticketing non cuba più di un 15/16%!
Coronavirus e colpo di grazia al calcio italiano.
La pandemia da coronavirus che, solo in Italia ha mietuto 30.000 vittime, ha costretto tutte le discipline a fermarsi, una dopo l’altra hanno dichiarato chiusi anticipatamente i rispettivi campionati… tutte meno che una: la seria A di calcio. Due mesi abbondanti di stop ed un numero imprecisati di contagiati tra i protagonisti (uno su tutti Dybala) non sono state sufficienti a convincere la Lega ad archiviare la stagione 2019/20 e cieca appare l’ostinazione con la quale si cercano soluzioni per riprendere l’attività agonistica e per portare a termine il campionato.
Cellino presidente del Brescia calcio è lapidario: ‘…nessuno molla, perché questo calcio pieno di debiti ha già speso soldi non ancora incassati’, già forse il numero uno del Brescia calcio fa riferimento ai 255 milioni già cartolarizzati dai club? Il vile denaro! Si quantificano in 700 milioni le eventuali perdite in caso di definitivo stop del campionato, ecco perché i politici del calcio tricolore non si rassegnano nonostante una situazione che vede ogni giorno migliaia di nuovi infetti e centinaia di morti. Abbiamo visto come le Pay Tv siano riuscite a modificare il DNA dello sport più seguito al mondo e oggi si prospetta una nuova mutazione questa volta generata dalla determinazione di non arrendersi all’evidenza. Si ipotizzano dunque nuove regole in grado di cambiare radicalmente i connotati di uno sport nato tra la gente, giocato per la gente. Le telecamere riprenderanno partite ambientate in stadi tristemente vuoti dove saranno proibite le strette di mano, le proteste, le esultanze di gruppo dopo un gol, lo scambio di maglie a fine gara e magari cartellino giallo a chi si azzardi a sputare durante il gioco (in barba alla biologia)! Mentre gli allenamenti individuali prendono il via, risultano positivi ai tamponi tesserati della Sampdoria, del Torino, della Fiorentina e chissà di quanti altri club.
La domanda sorge spontanea: che spettacolo sarà questo? Un calcio virtuale e perfetto stile Play Station dove il pubblico è definitivamente sdoganato come un dettaglio trascurabile da sacrificare sull’altare delle piattaforme tv.
La voce dei tifosi contro la ripresa del campionato di serie A.
Gli Ultras partenopei scrivono nel loro durissimo comunicato: ‘Ci sono milioni di disoccupati legati a un reddito di sussistenza, leggi rigide per la quarantena obbligatoria per chi è sfiorato dal contagio, e voi vorreste l’immunità di Stato per proteggere i vostri profitti, infischiandovene degli stadi vuoti e dei lutti dei vostri tifosi? Rappresentereste solo voi stessi su quel prato verde, i vostri interessi economici e la vostra lurida avidità. Finitela qua se avete un po’ di dignità’.
Prima di loro si erano fatti sentire contro la ripresa del campionato di serie A i gruppi organizzati di Atalanta, Brescia, Sampdoria, Genoa, Lecce e Roma. I supporters della Spal hanno addirittura chiesto alla loro squadra, in caso di ripresa, di non vestire la storica maglia a righe biancoazzurre.
Il finale pare già scritto, ma ai romantici come me, cresciuti al suono delle irruzioni di Sandro Ciotti ‘clamoroso al Cibali!’ piace pensare che alla fine prevarrà il buon senso.
“La ripresa del campionato di serie A è l’antitesi del marketing sportivo.”
Maurizio Laudicino,
direttore marketing sportivo.